Il giorno in cui feci la conoscenza del mondo degli adulti
Metà degli anni Sessanta. Stazione Termini di Roma. Sul treno per Cassino. Non avevo più di dieci anni. Stavo con mia madre e mia sorella, di tre anni e mezzo più piccola di me. Andavamo a fare visita ad amici di famiglia. Nel vagone, prima della partenza, mamma cercava con difficoltà posti liberi a sedere. Evidentemente i sedili erano occupati o prenotati.
Dal corridoio della vettura entrammo in uno scompartimento, a sinistra. Era vuoto. Ricordo ancora la luce chiara, forte, che irrompeva dal finestrino e illuminava l’ambiente. Presumo che quella carrozza stesse verso l’inizio del convoglio, perché in quel punto non c’erano pensiline a schermare i raggi solari.
Sollevai lo sguardo e vidi che dalle barre metalliche orizzontali delle cappelliere, ovvero dai ferri di supporto perimetrali dei vani per valigie e altri bagagli, pendevano fascette bianche, leggere e flessibili. Non rammento se su di esse i caratteri neri riportati fossero scritti a mano o stampati. Comunque, la presenza di quelle sottili fascette strette e lunghe stava impietosamente a significare che i posti sottostanti erano prenotati. Dunque, niente da fare. L’impresa di trovare sedili liberi diventava ardua.
Fu allora che entrò nello scompartimento un uomo di mezza età, o tale dovette sembrarmi. Resosi conto della nostra infruttuosa ricerca, forse volendo apparire determinato e galante agli occhi di mia madre, di sua completa iniziativa decise di risolvere il problema. Senza pensarci su, con una mossa fulminea strappò via tre fascette bianche da quei tubi metallici dei portapacchi a griglia, che avevano il colore dell’argento. Ecco, come d’incanto tre posti non risultavano più prenotati.
Ai miei occhi di bambino quel gesto improvviso e inaspettato rappresentò in un certo senso la lacerazione della mia ingenuità infantile. Lo percepii e lo valutai come un atto inopportuno, sbagliato, illecito. E lesivo.
Qualche anno più tardi, con qualche strumento interpretativo in più, rivisitando con la memoria quell’episodio, lo giudicai anche come un esempio di declinazione deteriore del modo di arrangiarsi. E, purtroppo, come una forma distorta e prepotente dell’italica genialità.
In ogni caso, in quel momento, di fronte a quell’azione arrogante, non provai sollievo per l’illegale liberazione dei posti. Anzi, ne rimasi turbato. Quella trasgressione, per quanto apparentemente lieve e compiuta, per così dire, a fin di bene, perturbò l’abituale e regolare andamento delle cose e mi interrogò profondamente. Ero stato educato secondo i valori della correttezza e della lealtà. E quell’ingresso repentino in una realtà sconosciuta dove potevano valere regole diverse dall’onestà, escogitate arbitrariamente dagli adulti per poter perseguire i loro fini discutibili, mi lasciò stupito. Attonito e incredulo.
Non avevo ancora la maturità e le conoscenze per poterlo ritenere, in prospettiva, un mondo egoista e opportunista, che perpetrava e giustificava i soprusi mistificandoli perfino sotto un manto di generosità. Ma quel brutto mondo nuovo che si profilava dovette apparirmi pressoché tale.