La notte, la mia mente è pervasa da una strana accozzaglia di immagini. Che non riesco a lavare e dimenticare, quali detriti di piccoli incubi che il giorno mi ha regalato. Schegge di visioni che si insinuano nella razionalità quotidiana dei gesti e delle parole. No, sono piccoli incubi sotto forma di movenze, colori, suoni, fratture infinitesimali dello sguardo che io giuro di aver visto e ai quali vorrei dar compiutezza nel ricordo. Ma il ricordo non c’è, sfugge per quanto erano fuggevoli questi millesimi di secondo che beffardi hanno irriso la mia memoria.
Se osservo questa sezione dei Photoblurrygraph di Enrico Nicolò, oltre a confermarmi l’inspiegabilità e l’inclassificabilità spiazzante di questo autore, mi accorgo che da un lato evocano le sublimazioni percettive dell’infanzia, dove la purezza dell’ingenuità è ancora lontana dalla porta del dolore. Ma dall’altro, quando ben presto per ognuno di noi quella porta si spalanca, ecco il graffio dell’incubo. In queste immagini rivedo ciò che io avevo visto e vi trovo la positività che il mancato ricordo mi negava. Case, muri, alberi, prati, cieli e mari in un caleidoscopio di vibrazioni troppo veloci per bloccarsi nell’asse occhio-memoria, ma passaggio di una frontiera visiva nell’uso del mezzo fotografico.
Enrico Nicolò riesce a coniugare la meccanicità dello strumento ottico con la sfida di una ricerca artistica che sembra lasciare gli ormeggi della sua sicurezza di fotografo; nuove avventure dal sapore omerico lo attendono, in quel mistero affascinante che è il viaggio di un autore nella fotografia.
Andrea Attardi
Andrea Attardi, La positività dell’incubo, in “Enrico Nicolò, Photoblurrygraph, Collana “I Quaderni di Gente di Fotografia”, Gente di Fotografia Edizioni, Modena, 2015”, pag. 24.