In più occasioni ho avuto modo di commentare le fotografie di Enrico Nicolò, pertanto non paia eccessivo se affermo come da questa assidua frequentazione sia scaturita una inevitabile e naturale, oserei dire, familiarità con la sua realtà iconografica, il suo linguaggio espressivo, i messaggi precipui che di volta in volta affiorano nelle sue serie fotografiche. Alla luce di questa sua ultima fatica, mi sia concesso di fare una prima doverosa considerazione: ci troviamo di fronte a un fotografo maturo, a un autore tout-court, sarebbe meglio dire, la cui poetica è agevolmente identificabile se si ripercorre a ritroso tutta la sua carriera espressiva, ma allo stesso tempo egli, da autore, non teme di osare, di sperimentare, di deviare dalle sue precedenti esperienze espressive, sebbene sempre nell’ottica di una, sia pur celata, coerenza semantica; per quanto attiene alle scelte stilistiche e alle operazioni formali però, con la serie fotografica confluita in questo libro ci troviamo dinnanzi a una autentica svolta. Ma questo lo vedremo a breve. Dicevamo, un autore di cui è necessario esemplificare un ulteriore attributo oltre quelli appena sopra enunciati: non solo l’inclinazione a ricercare e sperimentare senza sosta, ma anche e non ultimo la voglia di mostrare e condividere senza remore, orgogliosamente, verrebbe da dire, i “frutti” maturi della propria costante riflessione sul mezzo fotografico e sulle sue numerose potenzialità. Riflessione che Nicolò porta avanti attraverso due binari paralleli, l’immagine da un lato e la scrittura dall’altro – già in una precedente occasione ho fatto notare come il fotografo consideri la parola scritta un mezzo altrettanto essenziale per configurare i suoi pensieri inerenti al mondo della fotografia e dell’arte più in generale. Ecco, questo libro nasce dalla precisa determinazione a condividere con il lettore gli esiti di una operazione che investe il tema della forma.
Partiamo allora dalla parola che dà il titolo al libro: photoblurrygraph. Creata dallo stesso Nicolò, essa è piuttosto una sorta di endiadi, in quanto è il risultato di una felice combinazione delle parole photograph, fotografia, e blurry: indistinto, indefinito o annebbiato. Già, perché la serie fotografica qui raccolta nasce da un moto ben preciso: scompaginare il mondo delle forme per ripresentarcele indistinte, appunto, più o meno irriconoscibili; la realizzazione di questa trasfigurazione della realtà avviene attraverso una serie di procedimenti tecnici: lo sfocato, il mosso, la sovra e la sottoesposizione. Ricorrendo a tali espedienti, talora usati persino congiuntamente, il fotografo dà vita a una sua personalissima riflessione su cosa sia la forma nell’arte. In più, cosa questa pressoché inedita per Nicolò, usando non più il bianco e nero, leit-motiv di tutta la sua precedente produzione fotografica, bensì il colore. Per cogliere pienamente il portato di questa autentica virata in cui il colore, il mosso e lo sfocato, più o meno spinto e accentuato come avremo modo di osservare, sostituiscono il bianco e nero e il tutto “a fuoco” occorre fare un passo indietro e ripensare ad alcune delle tappe attraverso cui si è snodato il cammino artistico di Nicolò. Nelle sue serie fotografiche Solitudine del viandante del tempo (2008-2012) e Oltre l’infinito sublime (2011-2012),Nicolò delinea la sua poetica umanistica ed esistenziale in cui l’uomo è, appunto, misura di tutte le cose. Nelle immagini, rigorosamente in bianco e nero, di queste serie compare una figura umana solitaria ripresa da tergo mentre osserva l’orizzonte che gli si dispiega innanzi, al centro di paesaggi maestosi, deserti, disabitati.
Dunque, attraverso delle ben studiate messinscene, il fotografo dà voce ai risvolti più dolorosi della vicenda esistenziale dell’uomo: la sua ineludibile solitudine, la sua finitezza cui fanno da contraltare la natura e il mondo con il loro eterno e indifferente panta rei.
Nelle serie Oltre il caos (2010-2012) e Tempora et horae (2012) ricompare immancabilmente il topos iconografico caro a Nicolò della figura umana inserita in contesti naturali, tuttavia con una tensione verso il trascendente che risente di un pensiero di matrice cristiana – Nicolò è un credente e questo aspetto non è affatto ininfluente nella sua Weltanschaaung. I protagonisti di queste immagini sembrano avere un atteggiamento che è assieme contemplativo e interrogativo, di ossequioso ascolto dei segnali della natura intesa, nell’intenzione del fotografo, come estrinsecazione del divino, ma anche di ricerca dell’assoluto che abita dentro e oltre l’apparenza fenomenica delle cose. Infine, nelle fotografie confluite nel volume intitolato Sgridò i venti e il mare – Intuizioni di immagini dai Vangeli (Palombi Editori, 2013) l’aspirazione dell’autore verso il trascendente, il divino, diventa esplicita, programmatica. Infatti, Nicolò prende spunto da alcuni passi tratti dai Vangeli per raccontare determinati momenti della vita di Gesù e dei suoi discepoli. Questo racconto non è reso, come si potrebbe pensare, attraverso un approccio documentaristico o aneddotico, ma ricorrendo a un escamotage, lo sfocato, che conferisce a tutte le immagini di questa serie una grande forza poetica. Dunque, le ambientazioni realistiche e la messa a fuoco cedono il passo a una moderata dilatazione delle forme che tuttavia non impedisce all’osservatore di riconoscere scenari paesaggistici e soggetti, immersi in atmosfere liriche, contemplative, per effetto dello sfocato che qui ha un ruolo semantico ben definito, infatti sfocare i contorni delle cose, dilatare le forme nasce dal tentativo di rappresentare la realtà trascendente di Dio che si è fatto uomo.
Con i photoblurrygraph a colori assistiamo a un ulteriore cambiamento di registro; il rigore formale del bianco e nero, le atmosfere talora cupe e malinconiche, i contenuti drammatici che afferiscono ai temi della solitudine, della finitezza dell’uomo, nonché il tema dell’anelito verso l’assoluto retrocedono sullo sfondo per lasciare spazio al cromatismo e a un’esperienza, quella del fotografo prima e dell’osservatore poi, che è prima di tutto sensoriale, percettiva ed emozionale.
Si badi, non è però questo il caso in cui la sperimentazione è sinonimo di mero esercizio di stile; in antitesi con una certa tendenza attuale incline a fagocitare le mode più corrive sul piano stilistico e formale, essa risponde a precisi propositi semantici.
A questo punto, è necessaria una digressione per quanto breve: come tutti sappiamo, la forma, che è costruzione della materia, e il colore sono i mezzi propri della pittura. Spetta all’artista organizzare questi due elementi all’interno dello spazio della tela. Ora, in queste foto Nicolò utilizza alcune tecniche intrinseche al mezzo fotografico per creare immagini debitrici più verso certo patrimonio pittorico che prettamente fotografico, in quanto soprattutto alcune immagini risultano palesemente imparentate a certa pittura astratta del Novecento. Ma procediamo per gradi. Le immagini di questo libro sono divise in cinque sezioni, ognuna delle quali risponde a una volontà deliberata di affrancare la rappresentazione dal vincolo restrittivo della verosimiglianza per abbandonarsi, viceversa, a una modalità operativa che fa propri i princìpi ispiratori dell’indistinto e della indeterminatezza, talché le forme da vagamente distinguibili si trasformano man mano che procediamo pagina dopo pagina in campiture astratte di colore.
Nelle prime due sezioni si riaffacciano certi aspetti caratteristici del linguaggio figurativo di Nicolò: la figura femminile solitaria che osserva di spalle all’osservatore uno scenario marino (Photoblurrygraph – 154), nonché certi paesaggi ripresi “in campo lungo” (Ulivi – 4, Photoblurrygraph – 106). Qui, il fotografo ricorre a un tipo di sfocato solo lievemente accennato che permette, quindi, allo spettatore di poter ancora agevolmente leggere e decodificare gli elementi che compongono l’immagine.
Nelle sezioni successive, invece, lo sfocato si fa più spinto, così come più libero e disinibito è il ricorso al mosso e alla sovra e sottoesposizione, in questo modo il colore disintegra l’identità della forma, sia essa un paesaggio, un elemento architettonico; il risultato è una fusione totale di oggetto e spazio, inteso, quest’ultimo, come fenomeno cromatico e luminoso, alla ricerca di una libertà totale e nel rifiuto di ogni processo canonico di rappresentazione. L’attenzione del fotografo si sposta dal soggetto rappresentato al processo creativo. Si impone così l’idea che la fotografia sia creazione piuttosto che imitazione e che l’appropriazione della realtà sia non più di tipo «razionale», ma percettivo, emotivo, irrazionale.
Infine, immagini come Photoblurrygraph – 48, Photoblurrygraph – 75 o Photoblurrygraph – 81 – appartenenti all’ultima categoria il cui titolo è non a caso Astrazioni – esemplificano il presupposto più intimo che a esse soggiace: qui lo spazio rimane senza persone né cose, la figurazione, la mitologia naturalistica dello spazio vengono soppiantati, pertanto lo spazio viene percepito come sostanza coloristico-luminosa espansa e vibrante, quasi una proiezione dell’inconscio. Vengono in mente allora certe esperienze della pittura astratta del Novecento: da Adolph Gottlieb (1903-1974) a Mark Rothko (1903-1970).
Con le foto di questa serie abbiamo a che fare con una soggettività ispirata che entra in comunione con il mondo oggettivo, ovvero siamo in presenza di un felice, quasi “panteistico” rapporto tra il fotografo e i fenomeni del mondo esterno. A tal proposito, non sorprenda se il pensiero, procedendo per associazioni, va alla teoria dell’Einfühlung, ossia dell’immedesimazione, sviluppata all’inizio del Novecento dallo storico e teorico dell’arte Wilhelm Robert Worringer (Astrazione ed empatia, il suo testo maggiore, è infatti del 1908). Sulle orme del filosofo Theodor Lipps, per il pensatore tedesco l’empatia si definisce come una sorta di immedesimazione e di abbandono che ci fa trovare piacere in un oggetto esterno nel quale ci riconosciamo; non ci pare azzardato affermare che il tipo di esperienza artistica fatta da Nicolò nel realizzare le foto di questo libro non sia poi così distante da quella appena sopra descritta.
Annarita Curcio
Annarita Curcio, Introduzione generale, in “Enrico Nicolò, Photoblurrygraph, Collana “I Quaderni di Gente di Fotografia”, Gente di Fotografia Edizioni, Modena, 2015”, pagg. 10-13.