Quando ero bambina, mia madre, maestra, soleva leggermi le favole di Esopo. Tutti noi ricordiamo come queste favole avessero per protagonisti degli animali che incarnavano vizi e virtù degli uomini. E più tardi fu loro attribuito anche un chiaro intendimento di ‘educazione morale’.
L’opera di Enrico Nicolò, Sull’orlo dell’infinito – Stralci immaginari, inaugura, a mio avviso, un nuovo genere letterario che presenta delle comunioni e delle differenze significative con le favole di Esopo.
In questo caso, negli ‘stralci’, sono l’uomo e la sua umanità i veri protagonisti. Nessuna metafora o trasfigurazione animale viene utilizzata se non l’artifizio letterario dello stralcio stesso. Ma, come nelle favole di Esopo, anche qui sono messe a nudo, minuziosamente analizzate, scandagliate e messe a fuoco, tutte le sfaccettature dell’animo umano.
L’uomo è nudo nell’opera dell’Autore; nei vari stralci sono mirabilmente esplorate le sue più intime e profonde emozioni, così come le sue contraddizioni e debolezze. Dilaniato, conteso tra le aspettative e i desideri e la prosaicità della vita. Affranto dalle relazioni difficili, deluso dalla frettolosità e superficialità dei tempi che viviamo, in bilico tra disperazione e speranza, tra desiderio e annullamento, tra anelito al calore umano e isolamento esasperato.
Sull’orlo dell’infinito è un possibile antidoto al nuovo Medio Evo che stiamo vivendo, dove, pur essendoci nuovi e più pervasivi mezzi per la condivisione, la comunicazione e la ‘socialità’, siamo sempre più soli… sull’orlo di un infinito imperscrutabile che ci fa sentire tanto più soli quanto più sensibili e ‘diversi’ rispetto all’omologazione dei nostri tempi.
L’opera di Enrico Nicolò non fa sconti. Apre uno squarcio senza più veli, senza metafore, senza preavvisi, incipit, storie a lieto fine.
Ogni singolo stralcio crea un’apertura sull’animo umano, vi mette il dito dentro come il San Tommaso della tela caravaggesca e ce lo descrive – magistralmente – per quello che è, senza edulcorazioni, con le sue poche luci e le sue tante ombre.
L’Autore con i suoi stralci intimisti ci avviluppa di volta in volta in quella storia troppo breve, troppo intensa, troppo dura, troppo vera che ci mette dinnanzi alla nostra umanità più autentica, al suo lato più fragile e ci costringe a una riflessione, spesso amara ma talvolta anche salvifica, commovente, infinita.
Ogni singolo squarcio (o stralcio che dir si voglia) è proprio come una tela caravaggesca che con la luce mette sotto l’occhio dell’osservatore solo la parte cruciale della scena, senza offrire alibi o elusioni… mettendoci davanti all’uomo per quello che è, senza filtri illusori, perché l’umano, il profondamente umano è pieno di irrisolutezze, di attese vanificate, di illusioni, delusioni e crolli, di bisogno dell’altro, di tensione verso la perfezione che si schianta contro l’imperfezione assoluta della natura umana.
In questo quadro, talvolta desolante, di solitudine esistenziale, però, a ben guardare, c’è quasi sempre una luce di speranza. Sia essa sotto forma di fede o dell’imprevedibilità umana, capace con la sua volubilità e irrisolutezza di offrire anche momenti di felicità, seppur brevi e transitori.
Ogni stralcio ci preleva dal nostro hic et nunc e ci costringe a riflettere sul nostro io più profondo, ci obbliga a guardare la nostra vita in campo lungo, ciascuno – ed è questa la bellezza dell’incompiutezza dello stralcio – a suo modo, attraverso le proprie lenti e i propri filtri interiori. Ne risulta che empatizziamo con alcuni stralci e protagonisti e ci discostiamo da altri.
Alla fine, tanto è mirabile l’azione dell’Autore che ci innamoriamo di alcuni suoi personaggi e quasi ne odiamo degli altri.
Tutti però parlano al nostro cuore, tutti urlano al nostro essere più profondo per tirar fuori la nostra umanità, ma non quella visibile che mettiamo sul piatto delle convenzioni sociali, bensì quella che spesso celiamo, di cui quasi non ci accorgiamo più, tanto presi dal vivere le nostre esistenze in superficie, legati al giogo della quotidianità e dell’assenza di intimità con noi stessi.
La cosa che mi suggestiona, comune a tutta l’opera artistica dell’Autore, è che il risultato di immediatezza che consegue a ogni singolo stralcio, non è tale nel processo creativo. Dietro ci sono infatti una ricercatezza di linguaggio, un’analisi strutturata dell’universo emozionale, una scenografia letteraria costruita e una precisione quasi maniacale nella creazione di ogni singolo stralcio.
Sull’orlo dell’infinito potrebbe sembrare, così descritta, una ‘lettura difficile’, invece – e qui va il mio plauso ulteriore alla capacità dell’Autore – si tratta di una lettura avvolgente, appassionante, che invoglia il lettore ad andare sempre oltre e anzi a desiderare molte volte che gli stralci non terminino… non ci lascino così, di nuovo soli, dopo averci preso per mano.
Mi sento di poter affermare con convinzione che Enrico Nicolò inaugura un vero e proprio nuovo genere letterario, stralci di umanità, racconti dell’intimo portati al grado di Arte letteraria.
L’espediente dello stralcio sembra apparentemente contrastare con l’universalità, la complessità dei temi trattati e invece ne scaturisce un’opera artistica mirabile, di grande effetto, autoconsistente, avvincente, che induce alla riflessione profonda e accompagna, appassiona, accoglie l’umanità universale dei lettori.
Abbiamo bisogno di Arte di questo tipo, abbiamo bisogno di nuovi Caravaggio, di nuovi Pirandello, Svevo, Zola, Hugo e Dostoevskij, abbiamo bisogno – oggi più di ieri – di ‘riconnetterci’ alla nostra umanità e non solo ai nostri smartphone.
Le opere di autori come Enrico Nicolò sono ‘scomode’ solo per chi non vuole porsi domande, ma sono cibo per l’anima di chi vive la vita profondamente, si interroga su di essa, sul significato dell’amore, delle relazioni, della pietà, della comunione delle anime, delle attese, delle disillusioni. E della fede.
Tutta la grande Arte parla da sempre all’animo umano. L’opera artistica di Nicolò, non solo quella strettamente letteraria, urla sommessamente alla nostra anima, ci invita a non essere osservatori, spettatori o lettori superficiali, ma ci induce a riflettere su noi stessi, sulle nostre debolezze, sulle zone d’ombra che ci contraddistinguono, sulle nostre necessità prosaiche, sui nostri egoismi ed egocentrismi, e lo fa senza mai giudicare, perché è un Uomo colui che scrive, sono uomini e donne i suoi protagonisti. Sono ogni uomo e ogni donna di ogni tempo e ogni dove. Sono l’universo umano.
Ogni personaggio dei suoi stralci altri non è che uno di noi; ci specchiamo nel suo intimo e viviamo delle sue contraddizioni e delle sue sofferenze… ci nutriamo delle risposte dei suoi saggi, innescando dentro di noi altre domande che necessitano di nuove risposte…
E che cos’è tutto questo se non Arte? Arte intesa secondo la massima di Henry Miller: «L’arte non insegna nulla, tranne il senso della vita».
Sull’orlo dell’infinito ci invita a cogliere, a esplorare, a interrogare profondamente questo senso della vita con un potere allo stesso tempo taumaturgico e salvifico, non fosse altro per distaccarci – anche solo per un attimo – dalle nostre esistenze in cui siamo tutti sempre più distanti, iperconnessi e soli, ipercomunicativi eppure dominati da un enorme senso di incomunicabilità.
Alessandra Stranges
Alessandra Stranges, L’animo umano attraverso gli stralci intimisti di Enrico Nicolò, “La Voce — Periodico abruzzese”, anno 66°, n. 4, pag. 9, Fossacesia (CH), agosto-settembre 2017.