Sfogliando le fotografie dell’artista Enrico Nicolò si ha subito la consapevolezza di stare osservando non semplici immagini fotografiche, ma espressioni dell’arte che trasmettono sensazioni che vengono dall’animo dell’autore e raggiungono l’animo di chi le guarda. Fotografie portatrici di emozioni, dunque, che a me hanno dato l’opportunità di rivivere sensazioni legate tanto all’immagine quanto al suono, perché anche la parola e la voce sono importanti per un essere umano. Occhi e orecchie insieme, che contraddinguono il mio campo professionale.
Per guardare queste particolari fotografie di attrici, dive che ho sempre visto sullo schermo, è necessario avere calma e pazienza e soffermarsi a pensare molto a lungo. È questo ciò che colpisce me, che faccio il lavoro di doppiatrice. Mi danno un senso di solitudine, magari immerso in un infinito leopardiano, ma non di malinconia. Infatti non trovo assolutamente tristezza in queste immagini poiché dalla visione di queste dive, che hanno rappresentato il sogno, scaturisce qualcosa di continuo e persistente, che dura nel tempo, imperituro. Loro, le dive, mi riportano sì un po’ al passato, ma non finiscono mai, non sono mai invecchiate, le porti sempre con te, come penso sia per Enrico Nicolò che ha scattato queste fotografie ambientate delle riviste d’epoca in cui apparivano ritratte queste splendide attrici, sebbene egli, per altri versi, metta pure in luce differenti aspetti, quali l’abbandono, la labilità e la caducità, come il titolo della serie fotografica stessa lascia intravedere. Queste dive erano bellissime anche di personalità, non fredde. Ti ci potevi raffigurare. Adoravo e adoro Greta Garbo, che, con quegli occhi, è rimasta icona, meravigliosa. Per me Rita Hayworth, che ho doppiato in Gilda, è rimasta così.
Nel mio lavoro, non saprei distinguere tra cosa ricevo e cosa do nelle interpretazioni. È una condivisione. Per prima cosa, delle attrici guardo gli occhi, l’espressione. Le emozioni del personaggio, che cerco di trasmettere fedelmente, diventano un po’ mie. È come se, impercettibilmente, ci si psicanalizzasse a vicenda. C’è molto animo, immedesimazione, una sorta di cammino fatto insieme. E ne può nascere anche una reale stima reciproca, come emerse nell’indimenticabile incontro che ebbi con Liv Ullmann. E per il pubblico, poi, è fondamentale poter associare alla figura di un’attrice, o di un attore, sempre una stessa voce.
È importante per un doppiatore saper dare sensazioni diverse. Ricordo che una volta il regista Franco Rossi mi disse: «Come fai tu a entrare immediatamente? Sembrerebbe tu abbia vissuto cento vite!».
Concludo. Dicevo del sogno legato al cinema. Ho sempre amato la scena finale di Tempi moderni. So che anche per Enrico Nicolò è lo stesso.
Vittoria Febbi
Vittoria Febbi, testo critico in “Enrico Nicolò, Dive di carta, icone in celluloide (già in “Rivista Abruzzese – Rassegna Trimestrale di Cultura”, anno LXVII, n. 4, pagg. I-XVI, ottobre-dicembre 2014), Rivista Abruzzese Editrice, Lanciano (Chieti), dicembre 2014”, pag. 6.