Portare la parola dentro l’immagine, anche e soprattutto quando la Parola è quella di Dio. Enrico Nicolò, attraverso la sua arte fotografica, desidera contribuire ad avvicinare l’uomo alla Verità e, in questo suo ultimo lavoro, ha scelto di farlo esprimendosi in latino, attraverso frasi estratte dalla Vulgata Clementina. Sed quae non videntur si compone di un corpus di immagini fotografiche, rigorosamente in bianco e nero, in cui, all’interno di lirici paesaggi, si stagliano messaggi tratti da brani della Sacra Scrittura. I brani sono scritti con il gesso su lastre di lavagna, materiale scelto non a caso, ma proprio perché si tratta di un minerale presente in natura, quindi meglio integrabile con il paesaggio stesso, che sempre riveste un ruolo fondamentale nei lavori di Nicolò ed è legato alla sua “poetica dell’Oltre”. Il riferimento alle Tavole della Legge è affiorante, insieme ad un certo carattere di iscrizione lapidaria, che pure rimanda all’escatologia. L’osservatore può così essere proiettato verso l’infinito, oltre l’esistenza terrena, verso la vita eterna.
Con la sua arte Nicolò vuole sempre trasmettere un messaggio positivo, di apertura, verso il bene, il vero, il bello, ovvero verso la bellezza del Creato. Secondo Nicolò l’artista, come ogni uomo, deve fare buon uso del suo tempo, trasmettendo un messaggio che possa contribuire ad elevare lo spirito dell’essere umano. E con l’arte sacra Nicolò “massimizza” tutto ciò. “Per me non è tanto importante fare arte in sé, ma comunicare un messaggio esistenziale”, dice l’artista, “ovviamente in forma artistica”. È per realizzare ciò che Nicolò ha spostato la sua attenzione dalla scrittura, che pure riveste un ruolo molto importante nella sua vita, alla fotografia, proprio per divenire un “fotopittore di paesaggi dell’animo”.
Nelle sue composizioni fotografiche, attentamente studiate, dove nulla è lasciato al caso, il paesaggio entra sempre prepotentemente nel discorso. È così anche in Sed quae non videntur, in cui le lastre di lavagna a volte sembrano quasi delle pietre miliari all’interno delle composizioni, come nell’immagine dove compare Vias tuas Domine demonstra mihi, in cui si chiede al Signore di mostrarci le sue vie… Vie tortuose, in salita, parzialmente nascoste da tornanti, a significare che la Verità si raggiunge solo con la pazienza, la perseveranza e la Fede. Et mansi in solitudine sottolinea qui le capacità introspettive dell’uomo nel suo cammino verso la Luce, sia che questo si compia tra verdi pascoli, impervi pendii o tra le onde del mare. Del resto la prima tavola recita Non contemplantibus nobis quae videntur, sed quae non videntur e racchiude tutta la poetica di questo lavoro di Nicolò, che ci esorta a non guardare alle cose che si vedono ma a quelle che non si vedono… fino ad arrivare all’ultima “epigrafe” Et vidi caelum novum, et terram novam, che si staglia contro la sfocata visione di una grande chiesa, una solida abbazia, a cui l’autore associa il suo messaggio di speranza.
Cinzia Folcarelli
Cinzia Folcarelli, Sed quae non videntur… dal visibile al trascendente, per andare “oltre”, in “Sed quae non videntur, serie fotografica di Enrico Nicolò, ‘La Voce — Periodico abruzzese’, anno 63°, n. 5, pagg. 5-6, Fossacesia (CH), settembre-ottobre 2014”, pag. 5.