Nell’immaginario collettivo, un fotografo bravo è quello che trasmette al “soggetto ritratto” la capacità di parlare e di raccontare un’emozione, una storia, uno stato d’animo. Ma in Enrico Nicolò, la fotografia non parla tanto di sé o di quello che fa vedere, quanto di qualcosa che non appare, ma “c’è e si intravvede”. Paolo Apostolo nella lettera ai Romani scrive: “Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza… Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza” (Rm 8,22-25). In altre parole, attraverso le opere del creato possiamo già pre-gustare le realtà invisibili. “Le perfezioni invisibili (di Dio), ossia la sua eterna potenza e divinità – è sempre Paolo che parla – vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute” (Rm 1,19-20).
Qui si cela, a parer mio, l’arte oltremodo profonda e “speculativa” del fotografo Enrico Nicolò: conferire forma e colore a “ciò che non si vede”. Nella presentazione dell’opera da lui redatta, ci si imbatte in un passaggio che evidenzia con estrema chiarezza il suo pensiero: “Le mie fotografie e, quindi, la mia poetica dell’“oltre” ed estetica dell’“invisibile”, sono riconducibili a tale denominazione, che trovo pertinente e suggestiva. Il mio “oltre il visibile”, in fondo, questo vuole significare”. Pare che riecheggi in queste parole la definizione della Fede suggerita dalla Lettera agli Ebrei: “La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede.” (Eb 11,1).
Può sembrare strano che un professionista della fotografia come Enrico Nicolò, in un mondo estremamente tecnologico in cui tutti possono fare foto a colori, perfino col cellulare, scelga e prediliga il bianco e nero. Gli esperti non si stupiscono. Sanno che solo con questo sistema è possibile ottenere il risultato ottimale.
Del resto, il bianco è il colore che racchiude in sé tutti e sette i colori fondamentali dell’arcobaleno. A tal proposito Enrico Nicolò sottolinea volutamente il significato del bianco, quando scrive che “il bianco è simbolo del candore e della purezza, di ciò che è pulito, perché lo associamo al bene, perché ricordiamo inconsciamente l’immagine dei cavalieri senza macchia su bianchi destrieri, perché il bianco ci riposa e rassicura e perché tendiamo naturalmente a scansare ciò che è luttuoso e sinistramente misterioso”. Questo enunciato è in sintonia con quanto emerso nel ciclo di conferenze su “L’arte. Architettura e la Simbologia cristiana …” a cura del Centro Culturale Anzolese (BO). Al colore bianco viene associata una simbologia ricchissima: “Il bianco non è un semplice colore, ma è il colore che racchiude in sé tutti i colori dell’iride, e quindi rappresenta la purezza e il candore: nei sentimenti, nella rettitudine, nella fede. Il bianco è anche il colore dell’armonia, della pace. E’ il colore del Divino che rappresenta la Luce che ci indica il cammino verso la Salvezza. Nella pittura sacra gli artisti rivestivano di bianco tutti i soggetti che dovevano ispirare queste virtù: la veste della Madonna dopo l’Assunzione, la veste del Cristo risorto, la veste di molte sante e vergini”. Se poi interpelliamo il libro dell’Apocalisse, il bianco è simbolo della Risurrezione, è il colore cristologico. Il testo biblico recita: “Quando l’Agnello (Gesù Cristo, ndr) sciolse il primo dei sette sigilli, vidi e udii il primo dei quattro esseri viventi che gridava come con voce di tuono: “Vieni”. Ed ecco mi apparve un cavallo bianco”.
Il nero invece è di opposta simbologia. Richiama il buio, la notte, la morte, il male, le tenebre, il mistero. Secondo una etimologia, “nero” deriva dal greco “nekròs” = morto, col senso originario di luttuoso, infausto, pernicioso. Un versetto del vangelo di Giovanni pone il vocabolo notte in un contesto inquietante: “Egli (Giuda) preso il boccone, subito uscì. Ed era notte” (Gv 13,30).
In altre parole, il bianco evoca luce, vita, vittoria; mentre il nero, l’esatto contrario: tenebra, morte, peccato. A questo punto torna alla mente la stupenda sequenza che la liturgia fa leggere nel giorno di Pasqua: “Morte e Vita si sono affrontate / in un prodigioso duello. / Il Signore della vita era morto; / ma ora, vivo, trionfa!”.
In Enrico Nicolò la realtà fotografata è una piattaforma dove uno si ritrova solo con se stesso, quasi abbandonato al destino, ma ansioso di scoprire, in una spasmodica ricerca, la via d’uscita. La serie fotografica che porta il titolo Sed quae non videntur, tratto dalla II Lettera ai Corinti (2Cor 4,18), già di per sé rappresenta un profondo monito a non fissarsi su “le cose visibili”, perché sono di un momento e possono trarre in inganno. In realtà esse potrebbero far cadere l’uomo nella errata convinzione che “oltre il visibile” non c’è più nulla. Qui mi si presenta davanti agli occhi la eloquente fotografia con la scritta “Vias tuas Domine demonstra mihi”. Questo versetto tratto dal Salmo 24, in cui prorompe la preghiera a Dio nel pericolo, mostra l’ardente desiderio che l’uomo ha di ricercare le “vie del Signore” per uscire da situazioni difficili e intricate. Esso potrebbe essere anche chiave di lettura della “poetica dell’oltre” di Enrico Nicolò. Il mondo, infatti, con tutte le sue meraviglie, pare che additi in continuazione l’esistenza di “un mondo invisibile”. Ma l’attrattiva delle realtà terrene è in forte contrasto con le attrattive delle realtà ultraterrene. Il profeta Osea traduce questo conflitto con una espressione di grande effetto: “Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo” (Os 11,7).
Di qui, la diuturna lotta tra il bene e il male, tra la grazia di Dio e il peccato. Una lotta che accompagna l’uomo in tutta la sua esistenza e che Nicolò esprime attraverso fotografie in bianco e nero. A volte prevale il bianco, a volte il nero, spesso il grigio, il colore del dubbio e della incertezza.
Riflettendo sulla raccolta Sed quae non videntur in cui si ammirano foto accompagnate da versetti biblici scelti ad hoc, si percepisce quasi tangibilmente l’obiettivo e la “poetica dell’oltre” di Enrico Nicolò. Quell’ “oltre” che giustifica la sua affermazione “Il bianco muove e vince all’alba”. Sì, a quell’alba pregna di autentica bellezza che, per concludere con Benedetto XVI, “schiude il cuore umano alla nostalgia, al desiderio profondo di conoscere, di amare, di andare verso l’Altro, verso l’Oltre da sé”.
Padre Domenico Lanci, Passionista
San Giovanni in Venere, 15 agosto 2014
Domenico Lanci, Enrico Nicolò. Fotografo dell’oltre, in “Sed quae non videntur, serie fotografica di Enrico Nicolò, ‘La Voce — Periodico abruzzese’, anno 63°, n. 5, pagg. 5-6, Fossacesia (CH), settembre-ottobre 2014”, pag. 5.