Come tutti hanno sperimentato, in un bambino le sensazioni precedono i ragionamenti. O meglio, un bambino ragiona per sensazioni e su di esse lentamente fonda la natura dei suoi ragionamenti futuri. A cinque sei anni, fui fortemente attratto dall’immagine dell’Addolorata, così come mi si presentava durante l’ultima scena della processione del Giovedì Santo a Marsala, quando la sua statua – bianca soltanto in viso e il resto avvolto nel nero del lutto – giungeva accompagnata dalla banda che suonava una marcia funebre. Il momento era terribile, atteso e annunciato dalle note.
Al passaggio della vara alcuni piangevano; altri, molti, avevano gli occhi lucidi. Era impossibile restare indifferenti. Anche uomini che pure abitualmente recitavano un cupo distacco si mostravano scossi. Tutti sembravano chiaramente toccati dalla dolorosa coscienza della morte del Figlio e dello straziante dolore della Madre – da un sentimento che si impossessava del cuore, attraverso il suono e il lento dondolio della statua. Ricordo ancora una donna gridare: “Marunnuzza mia, u chianciri!” (Madonnina mia, non piangere).
Per questa via, un po’ del senso del Nuovo Testamento giungeva anche a gente che forse non l’aveva mai letto. Allo stesso modo, a partire dalle processioni e dalle feste religiose nacque in me l’amore per le immagini e per il teatro. A questo proposito mi viene qui da citare un brano del filosofo Rosario Assunto che è nel volume Infinita contemplazione. Gusto e filosofia nell’Europa barocca: “i vocaboli teatro e spettacolo ricorrono per designare il mondo terreno, reale e la più che reale verità del Regno Celeste, quale i pittori barocchi lo anticipavano, illusionisticamente rappresentandolo all’interno delle chiese, nei catini absidali, nelle cupole, nelle volte affrescate: spettacolo, nel senso teatrale; rappresentazione a cui i devoti assistevano integrandovisi, e idealmente completandovi l’altra rappresentazione: quella liturgico-mondana delle funzioni sacre, nella quale essi, press’a poco come in teatro, erano spettatori ed attori al medesimo tempo”.
Era questa una realtà fortemente segnata soprattutto dall’opera della Compagnia di Gesù, di Ignazio di Loyola (1491-1556), il quale nei suoi Esercizi spirituali invita allo sforzo immaginativo, in modo particolare nel quinto esercizio della prima settimana, quando chiama i novizi a concentrarsi fino a videre visu imaginationis le fiamme dell’inferno e a sentire l’odore dello zolfo e la puzza della putredine attraverso l’imaginario etiam olfacto.
Con estrema lucidità, Ignazio è sulle orme di Massimo il Confessore (580-662), di Giovanni Damasceno (675-741) come di Stefano il Giovane (715-764), il quale pronunciò una frase che sembra tutt’uno con l’esercizio spirituale che abbiamo appena citato: “Per tramite dei segni sensibili veniamo rapiti in estasi fino alle loro cause”. Citando questa frase viene, naturalmente, da pensare a quale importanza, a partire dalla rinascita carolingia, ha avuto nel cristianesimo occidentale la musica gregoriana.
Il mondo sensibile può – e deve – essere trasformato in una scala lapidis, in un mezzo per giungere al tetto della Casa e che, per questa sua natura, diventa l’immagine simbolica del processo alchemico, che altro non è che una grande trasformazione interiore attraverso il mondo fenomenico, dove niente ha a che fare con certe fantasie presentate in taluni programmi televisivi a uso di un pubblico ormai disabituato alla contemplazione e costantemente alla ricerca di sensazioni forti.
Quest’ultima considerazione può sembrare in netto contrasto con quanto affermato all’inizio di questo testo. Ma non è così. La fortissima sensazione del passaggio dell’Addolorata avveniva, infatti, all’interno di una realtà che aveva come fine – e come risultato – la contemplazione e la pietas. Mentre le sensazioni forti che vengono dalle rappresentazioni filmiche e televisive dei nostri giorni sono fine a se stesse. In esse, il vedere e il sentire non hanno niente a che fare con l’Assoluto – con quella che resta invece l’origine e la vera meta.
Enrico Nicolò segue, invece, con altri mezzi, la via attraverso la quale l’Addolorata si è presentata ai miei occhi di bambino; un lavoro che fa del vedere un cammino spirituale. E, in questo senso, appartiene alla più autentica tradizione del cristianesimo, che, come abbiamo già accennato, ha nel vedere uno dei suoi punti di forza. Si tenga conto, ad esempio, che nel capitolo 20 del suo Vangelo, Giovanni usa per ben 13 volte il verbo vedere, in una progressione che è stata evidenziata dal gesuita Ignace de la Potterie (1914-2003) – che si presenta come il passaggio fondamentale attraverso il quale Tommaso giunge a credere alla resurrezione di Cristo. “Perché mi hai veduto, hai creduto” (20,29).
Il vedere è la via dei semplici, che non hanno – che non abbiamo – l’ingegno di Tertulliano, il quale, in De carne Christi, diceva: “È morto il figlio di Dio, e questo è credibile proprio perché è assurdo. È sepolto e risorto: e questo è certo perché impossibile”.
Enrico Nicolò persegue la via del vedere, o meglio, dell’intravvedere. Prima di lui altri avevano creato (già nell’Ottocento) delle immagini fotografiche di alcuni momenti dei vangeli. Egli però segue una via tutta particolare: li ripercorre in gran parte e usando, per la prima volta, un’accentuazione del cosiddetto fuoco morbido introdotto dal fotografo inglese David Wilkie Wynfield (1837-1887), dal quale passò a Julia Margaret Cameron (1815-1879).
Ogni immagine viene accompagnata da una didascalia costituita da un versetto dei vangeli. Significativamente, la prima fotografia rimanda a Matteo 4, 16: Il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce. Enrico Nicolò comincia dunque da dove è giusto cominciare: dalla luce, per parlare di quello che nei vangeli è la Luce.
Di fronte a queste immagini di Nicolò forse anche alcuni iconoclasti non avrebbero avuto niente da dire. Nelle immagini del nostro fotografo, infatti, nulla esattamente si vede. Per dare chiarezza al tutto c’è bisogno della parola della Scrittura, della luce del cuore e del ragionamento. E questo è, per me, un grande risultato.
Diego Mormorio
Diego Mormorio, La via dell’intravvedere, in “Enrico Nicolò, Sgridò i venti e il mare – Intuizioni di immagini dai Vangeli, Palombi Editori, Roma, 2013”, pagg. 12-14.